Durata, limiti percentuali e causali per i contratti a termine con le novità del Decreto Lavoro. Tutto quello che c’è da sapere sul tempo determinato.
Scopri di piùIl contratto a termine, detto anche contratto a tempo determinato, è un istituto che offre una maggiore flessibilità rispetto ai contratti a tempo indeterminato, sebbene abbia un costo maggiore.
Consiste infatti in un contratto in cui il rapporto di lavoro tra azienda e lavoratore ha una durata (e dunque una fine) prestabilita.
Negli ultimi anni questa tipologia contrattuale sta diventando sempre più frequente, anche perché la sua elasticità appare particolarmente utile ai datori di lavoro che si trovano in periodi economici difficili, come ha dimostrato il recente contesto pandemico. Ai lavoratori permette invece di accedere facilmente al mondo professionale, con l’opportunità di ottenere esperienza e formazione in diversi settori.
Ma vediamo in dettaglio come funziona il contratto a termine.
Il contratto a termine ha subito diversi cambiamenti negli ultimi anni da parte di una normativa in costante evoluzione e adattamento alle necessità del contesto lavorativo.
Nel 2015 il Jobs Act (D.Lgs. 81/2015) mirava a favorire l’occupazione in un periodo di grave crisi e, per questo, ha gito rimuovendo l’obbligo di causale. Successivamente, il Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018) ha rivoluzionato la normativa nuovamente limitando l'utilizzo del contratto a termine attraverso l’obbligo di causali molto specifiche e riducendo la durata massima da 36 a 24 mesi (salvo diversa previsione della contrattazione collettiva); ciò con l’obiettivo di favorire forme contrattuali più stabili.
Infine, il Decreto Lavoro (D.L. n. 48 del 4 maggio 2023) ha riportato indietro la normativa annullando di fatto le novità del Decreto Dignità, per un accesso facilitato da parte delle aziende a questa tipologia contrattuale. Alcune condizioni però rimaste invariate, vediamole in dettaglio.
Nonostante le modifiche della recente normativa, alcuni punti fondamentali sui contratti a tempo determinato sono rimasti invariati.
In particolare, sono stati confermati:
Oltre alle condizioni confermate, la nuova normativa prevede che il contratto a tempo determinato possa essere stipulato e rinnovato fino a 12 mesi senza causali, ma che possa avere anche durata superiore ai 12 mesi (e comunque non eccedente i 24 mesi di limite massimo) in due casi:
Con la circolare n.9/2023 del Ministero del Lavoro, è stato inoltre chiarito come conteggiare il periodo di a-causalità: ai fini del raggiungimento del limite massimo di 12 mesi si devono considerare esclusivamente i contratti stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023, indipendentemente da eventuali rapporti già intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore,
Di conseguenza, eventuali rapporti di lavoro a termine tra le medesime parti con contratti stipulati prima del 5 maggio 2023 non concorrono al raggiungimento del termine di 12 mesi entro il quale viene consentito liberamente il ricorso al tempo determinato.
Infine il Ministero specifica che l’espressione “contratti stipulati” utilizzata all’art. 24, comma 1-ter, del decreto è da intendersi riferita sia ai rinnovi di precedenti contratti di lavoro a termine sia alle proroghe di contratti già in essere uniformando, di fatto, il regime delle proroghe e dei rinnovi nei primi 12 mesi del rapporto.
In breve, questa normativa punta ad un uso facile ed accessibile del contratto a termine, con minime limitazioni.
L’ultima importante modifica del Decreto Lavoro riguarda il conteggio dei limiti percentuali. Salvo diversa disposizione della contrattazione collettiva, i contratti a tempo determinato non possono superare il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione. La novità sta proprio nell’escludere dal conteggio del limite quantitativo percentuale del 20% i lavoratori assunti in contratto di apprendistato.
Questo è solo un esempio di quanto la normativa del lavoro sia in continua evoluzione.
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